"La maledizione delle ombre" di Jean-Christophe Grangé

Con il suo ultimo romanzo, La maledizione delle ombre (Garzanti, 2019, traduzione di D. Comerlati e G. Maugeri), Jean-Christophe Grangé, riconosciuto a livello internazionale come uno dei grandi maestri del thriller francese, ci trascina nel mondo della pornografia, del bondage e, soprattutto, dello shibari, l’arte della corda giapponese, un’oscura disciplina al confine tra erotismo ed estetica.

Quando il comandante della Brigata criminale di Parigi, Stéphane Corso, è incaricato di riprendere l’indagine, ferma a un punto morto, sul brutale omicidio di una spogliarellista, tutto fa pensare a un criminale, forse più perverso di altri, ma che certo ha lasciato dietro di sé tracce che permetteranno di assicurarlo alla giustizia: non immagina di dover affrontare una lotta, anche personale, senza esclusione di colpi, un assassino che incarna il Male, nelle sue forme più depravate e mortali.

“Tredici giorni prima, ovvero venerdì 17 giugno 2016, il cadavere di una performer dello Squonk, Sophie Sereys, alias Nina Vice, trentadue anni, era stato rinvenuto nei dintorni del centro per la raccolta dei rifiuti della Poterne des Peupliers, non lontano da place d’Italie. Nuda e legata stretta con i suoi stessi indumenti intimi, la donna era stata sfigurata in maniera orribile: l’assassino aveva cristallizzato il suo volto in un urlo smisurato recidendole gli angoli delle labbra fino alle orecchie e piantandole un sasso in fondo alla gola perché la bocca rimanesse spalancata”.

L’indagine procede, passo dopo passo, anche grazie ad alcune intuizioni di Barbara Chaumette, in arte «Barbie», uno dei membri della squadra, molto affiatata, guidata da Corso. Ogni scoperta dà nuovo impulso all’inchiesta, anche reindirizzandola completamente verso nuove piste: da uno dei nightclub più frequentati del X arrondissement, le indagini, particolarmente sordide, si spostano nei meandri del porno e del sadomaso (noti solo agli iniziati, teatro di violenze indicibili, dove non esistono limiti e dove ogni deviazione è permessa) fino al mondo dell’arte, con ripetuti riferimenti alla diversificata produzione del tormentato pittore spagnolo Francisco Goya, morto all’inizio del XIX secolo.

Tuttavia, un vero sospettato manca. Almeno fino al momento in cui un anziano poliziotto in pensione, Lionel Jacquemart, in servizio nella Giudiziaria di Besançon negli anni Novanta, consegna a Corso un nome legato a un fatto accaduto alla periferia di Besançon, nel 1987: un furto con effrazione andato storto e finito con l’uccisione della figlia dei proprietari – legata con la sua stessa biancheria intima – e l’arresto del colpevole a distanza di un paio di mesi. Il tipo in questione, tale Philippe Sobieski, ha scontato diciassette anni di carcere duro, una decina dei quali a Fleury-Mérogis, prima di essere rilasciato nel 2005.

Sobieski è stato capace di ripulire perfettamente la propria immagine dandosi alla pittura, che ha iniziato a praticare ancora in carcere. Negli ultimi anni è persino riuscito a esporre, affermandosi rapidamente tra i nomi di spicco nel mondo dell’arte parigina.
Il principale sospettato – dissoluto, assassino, ossessionato, provocatorio – diventa presto il diretto avversario di Corso.

Apparentemente sempre un passo avanti rispetto alle indagini (in mancanza di indizi rimangono solo supposizioni, ipotesi e collegamenti da avvalorare), Sobieski si trasforma in una sorta di specchio in cui si riflettono i lati più oscuri e ugualmente perversi di un poliziotto che non può dimenticare il suo passato e le tracce che ne hanno segnato l’esistenza:

"Anche lui registrato all’anagrafe sotto il segno X, come Nina Vice, parassita di istituti e famiglie adottive da bambino, poi cane randagio durante l’adolescenza, Corso non era mai stato capace di sistemarsi, di adattarsi. Ladro, tossico, asociale, era stato salvato in extremis da Catherine Bompart che lo aveva preso sotto la sua ala protettrice e gli aveva permesso di riuscire nell’unica cosa che (oltre a suo figli) di cui andasse orgoglioso: la sua carriera di poliziotto.
Nonostante lo stato di servizio, la fedina penale pulita e l’estrema rigidità che veniva percepita come integrità, la malerba era ancora lì, nel profondo dell’animo. Funzionario di polizia, sposato, in regola con il fisco, negli anni Duemila aveva tentato di redimersi, ma l’indole naturale era emerso con prepotenza. Nel giro di poco tempo si era trovato separato dalla moglie, emarginato dai colleghi, nomade della sua stessa vita… zingaro in uno spazio residuale".

L’indagine si sviluppa quindi su più fasi, che permettono a Grangé di “giocare” con il lettore che, disorientato, se non sconcertato, è spinto verso quelle che si riveleranno piste false: se è vero che il perfetto colpevole ci viene consegnato in modo relativamente rapido e fin troppo semplice, il dubbio si insinua e permane fino alla sorprendente e inaspettata conclusione, dove non mancano colpi di scena a ripetizione.

Dell’assassino possiamo solo dire che è un essere divorato da un odio viscerale verso di sé, disgustato dal passato, spinto dalla rabbia e dalla ricerca di vendetta inesorabile.

Sostenuto da una scrittura fluida, una solida struttura e da un ritmo incalzante, La maledizione delle ombre ci consegna una galleria di personaggi uno più tormentato dell’altro: il Male, che, non abbiamo dubbi, esiste, non può che avere il volto di uno di loro.