“Ritratto di un matrimonio” di Robin Black

Ritratto di un matrimonio” (Neri Pozza, febbraio 2015, Traduzione dall’inglese di Chiara Brovelli, Euro 17,00, Pagine 256), primo romanzo dell’americana Robin Black, già autrice di una raccolta di racconti e di una serie di articoli e saggi, è una brillante prova narrativa che si presta a più livelli di lettura.
Il primo, come è facile intuire dal titolo, è quello relativo ad una “storia coniugale”, narrata, in modo non sempre lineare e in prima persona, dalla protagonista, Augusta Edelman. “Gus” per gli amici è una pittrice di talento di quarantasette anni, che ha vissuto con il marito Owen in uno stato di isolamento intenzionale, da quando un’eredità ha permesso loro, tre anni prima, di trasferirsi in un posto fuori dal mondo: una fattoria del 1918 con tanto di laghetto, sette acri di terra intorno e un’unica costruzione visibile, ma disabitata, al di là di una collina.
Nel flusso inarrestabile che dipanerà gli eventi, tingendoli di impressioni, ricordi, riflessioni e rivelazioni improvvise, veniamo però a sapere, fin dalla prima riga, che Owen, è morto. Nessun colpo di scena finale, dunque, ma l’interesse del lettore è stimolato e nutrito dalla necessità di comprendere come questo possa essere successo, quali fatti possano aver portato ad un esito così tragico. E’ lo stesso cammino verso la consapevolezza della protagonista, che indaga le circostanze che, passo dopo passo, tassello dopo tassello, hanno portato alla morte del marito: non può essere per una semplice casualità che gli ingranaggi di una vita ricomposta a caro prezzo si siano inceppati mandando tutto in mille pezzi, in un modo così doloroso. Inutile nascondere, ad esempio, che l’allontanarsi dalla vita “incurabilmente” urbana di Philadelphia è un’eccentricità che i due hanno cercato dopo che la donna ha tradito il marito con Bill, il padre di una sua allieva, Laine. Forse, però, la crisi era stata innescata in Gus dalla notizia che Owen non poteva avere figli o, prima ancora, dalla perdita dell’amatissima sorella maggiore, Charlotte, che le aveva fatto da madre; o, persino, dal primo manifestarsi della malattia mentale del padre che, colpito dall’Alzheimer, è sprofondato in una sorta di oblio, immerso in una realtà tutta sua. La donna, per altro, ha ammesso la propria infedeltà al marito:

“Quando gliel’avevo confessato, l’avevo fatto fino in fondo, con l’incauta passione di chi è convinto di purificarsi e dimentica che forse sta corrompendo chi ascolta. […] Avevo il sospetto che un giorno avrebbe avuto anche lui una relazione per ristabilire in qualche modo l’equilibrio”

ed ora i due sono intrappolati in un regime di argomenti vietati e in schemi comportamentali che non riescono a proteggerli da una sorta di diffidenza, ovvero in quell’amore stanco, logorato da lotte, ridotto a brandelli e ricucito insieme cui si era adatta tornando con il marito. Naturalmente, Gus è consapevole di aver fatto soffrire Owen e di averne causato il blocco dello scrittore, ma la coppia non può discuterne apertamente, così come non può discutere del nuovo progetto che la pittrice ha intrapreso. Per tutta la vita non ha dipinto altro che vedute, paesaggi, scorci di strade o edifici interni, distinguendosi per la precisione e la cura dei dettagli – quadri disabitati come rifugio dalle ferite e balsamo per realtà molto più sgradevoli; ora, invece, la sua attenzione è attratta dai ragazzi catturati nelle fotografie dei necrologi risalenti alla Prima Guerra Mondiale e usati come materiale isolante ai tempi dell’edificazione della casa.

In questo clima di velato disagio e di rituali silenziosi, si introduce, prima come un’intrusa, poi come una confidente, Alison Hemmings, la donna – anch’essa pittrice – che ha appena preso in affitto la casa di fronte. Minuta, poco più di cinquant’anni, viso sorridente, guance rotonde, occhi grigio chiaro, una zazzera di ricci d’argento e, come si scoprirà ben presto, un ex marito violento e una figlia, Nora, molto religiosa e alla ricerca di un punto di riferimento maschile, ha deciso di abitare lì perché

“una delle caratteristiche elencate nell’annuncio è la coppia che vive accanto. Lo scrittore e la pittrice”.

Quando incontra Alison, Gus non è più innamorata di Bill, ma è ancora sensibile ai ricordi e ai rimpianti, incline a rimuginare sulle molteplici possibilità che si sono chiuse con la fine della sua relazione. Rimangono molti nervi scoperti e, pian piano, con la frequentazione, la presenza della vicina diventa una novità positiva: le conversazioni fra le due donne si fanno sempre più confidenziali, tanto che Augusta le rivela dettagli inconfessati sul suo matrimonio e sul marito. La loro amicizia si fa sempre più intima ed Alison, che inizialmente ha affittato la casa solo per l’estate, decide di trattenersi in campagna più a lungo. Purtroppo, la visita della figlia, invaghita di Owen, che considera sua fonte di ispirazione, mette definitivamente in crisi i precari equilibri del piccolo nucleo familiare. E’ in quest’ottica che nel romanzo prende forma una sincera riflessione sui pericoli che possono portare alla dissoluzione di un rapporto affettivo, sulla capacità di perdonare e di riconquistare la fiducia della persona amata. Ma non solo. Come già accennato, altri livelli di lettura permettono al lettore di soffermarsi sull’importanza dell’ispirazione nella creazione artistica, contrapposta all’aridità, sintomo di disagio interiore; sul rapporto genitori/figli e i condizionamenti che esso esercita, anche a distanza di anni, sulle scelte più adulte; sull’influenza della perdita prematura di una figura genitoriale; sull’amicizia, vera o presunta e sulle conseguenze di una menzogna quando la fiducia viene tradita... L’atmosfera della casa, in particolare, viene descritta con rara efficacia: popolata dai “fantasmi” dei giovani soldati morti, di Charlotte, dei figli mai nati di Gus e Owen, ma anche dalla presenza di Bill, di Laine, dell’ex-marito di Alison, diventa luogo di memoria familiare (di altri). Non un luogo di nuovi inizi, dunque, ma uno spazio già vissuto dal quale, però, il marito-scrittore si allontana, per cercare nel granaio, l’ambiente più spettacolare di tutta la proprietà, un’ispirazione di cui non resterà traccia. Non è un caso che proprio lì, dopo essere stata alimentata da un quotidiano senso di attesa, si consumerà la tragedia preannunciata fin dalle prime righe.

Sorretto da una capacità fuori dal comune di descrivere e di trasmettere al lettore stati d’animo e sensazioni inespresse, dotato di raffinata sensibilità psicologica, il romanzo di Robin Black illumina senza ipocrisie e luoghi comuni le zone d’ombra del rapporto di coppia inteso come “frutto del lavoro di una vita”, conquista quotidiana su cui investire tempo ed energie. E’ questa, dunque, la storia coniugale raccontata da Gus, principalmente, a se stessa e poi a suo padre, che è l’unica persona al mondo cui, finalmente, può parlare di tutto. A volte la versione può essere più allegra, può parlare di perdono, di conforto, dei quadri con i ragazzi della Prima Guerra Mondiale terminati e mostrati alle famiglie e, con diverse varianti, Owen può persino non morire, ma la storia giunge sempre alla fine e solo allora si riesce a dare un senso a tutto quanto, a distinguere gli schemi e a capire. O a cominciare a capire.