“Se ti abbraccio non aver paura” di Fulvio Ervas

Speciale Libri da Classifica 2012

di Giovanna Giraudi


Un lungo viaggio, un percorso a tante tappe, metafora della vita: questo il contenuto del romanzo di Fulvio Ervas “Se ti abbraccio non aver paura”, in classifica nel 2012 per ben 22 settimane tra aprile e settembre.

E’ la storia, riportata dallo scrittore, di un’esperienza vera, di un viaggio di un padre e un figlio, Antonello e Andrea, già molto legati ma con tante cose ancora da condividere. Antonello, padre affettuoso, si prende cura di quel ragazzo quasi diciottenne ma ancor bisognoso delle sue cure. Andrea, infatti, è affetto da autismo, quel disturbo comportamentale che impedisce una piena comunicazione con le altre persone. Il ragazzo si approccia al mondo in maniera un po’ inusuale: spesso sta in punta di piedi e, quando si avvicina agli altri, tocca loro la pancia. E’ il suo modo per fare amicizia ma molti non sanno capire, non riescono a vedere al di là di quegli atteggiamenti che rientrano nella cosiddetta “normalità”. Poi c’è il suo modo di toccare, di abbracciare, così improvviso, così intenso che sulle sue magliette i genitori han dovuto far stampare la scritta “Se ti abbraccio non aver paura”, frase che la dice lunga su quanto, nella società di oggi, un po’ per egoismo, un po’ per necessità, siamo noi, comuni persone ad esserci chiuse al mondo.

La storia parte dalla quotidianità di mamma, papà e chi vuol bene ad Andrea: tutti si prendono cura di lui per consentirgli un’esistenza serena. Antonello non rinuncia a fare esperienze con il figlio: la sua è una scelta fatta dopo aver ascoltato dai medici la stessa diagnosi di autismo che è stata forte quanto un uragano e sette tifoni:

“Per trecento chilometri ho riempito la macchina di urla e lacrime. E’ stato il mio modo di entrare fino in fondo nella realtà. Però in quel momento ho capito che non avrei vissuto con un continuo pianto senza lacrime, con una smorfia o con un ghigno. Davanti a questa prova della vita avrei imparato a sorridere: l’avrei affrontata a fatica, ma anche con responsabilità, con intenzione. Con positività.”

Il padre inizia con il figlio un viaggio – avventura, una sfida per ambedue e, soprattutto, per il ragazzo che di fronte alla novità e alle situazioni inconsuete non sempre reagisce positivamente. La loro è una vacanza all’insegna della libertà: è la scelta di percorrere parte dell’America on the road, a cavallo di una Harley Davidson e, quando i due giungono nel deserto, scatta immediato il paragone tra questo paesaggio e l’autismo.

“L’associazione fra deserto e autismo è immediata. La scarsità di relazioni, l’apparente monotonia. Il silenzio. L’essenzialità. La vita che si fa strada sgomitando, infiltrata fra la sabbia, dentro le fessure delle rocce, che non disdegna mimetismi, adattamenti estremi, che accetta di perder parti di sé pur di resistere”.

Il viaggio continua in aereo, in auto e porta padre e figlio prima in America Centrale e, poi, in Brasile. E’ un lungo percorso fatto di novità, di meraviglie, di giornate con paesaggi pittoreschi rallegrati da splendidi colori che tanto attraggono Andrea. Sarà lui, a volte inaspettatamente, a guidare il padre verso nuove direzioni da prendere. La lunga esperienza lontano da casa ha una sua conclusione: non è manifesto ciò che lascerà in Andrea anche se lui di ogni cosa che vede aggiunge “bello, bella”; per il padre, però, quel contatto continuo, giorno per giorno, ora per ora, con il figlio, sarà l’opportunità per convivere meglio con gli atteggiamenti di Andrea prendendo atto che, per comunicare con gli altri, basta andare al cuore, all’essenza, al vero sentimento delle persone come si leggeva ne “Il Piccolo Principe” di Saint – Exupéry.

La narrazione termina lasciando in chi legge il pensiero di quanto siano rari coloro che guardano l’esistenza con la forza e l’ottimismo di Antonello. La vita è davvero un’avventura che ci riserba, a volte, novità a cui non siamo preparati ma che è, anche e soprattutto, l’occasione, magari faticosa ma non infruttuosa, di rinascere, di uscire da una normale mediocrità per evolverci e giungere ad una dimensione superiore. Insieme a tanti altri ragazzi autistici, Andrea è come un piccolo Principe venuto da lontano che vuol comunicare con noi terrestri. Per far ciò basta un po’ di buona volontà: bisogna aprire il cuore.