“L’orologiaio di Filigree Street” di Natasha Pulley

Sulla copertina, particolarmente liscia al tatto, fa bella mostra di sé una serie di ingranaggi, bombe e i tipici razzi dei fuochi d’artificio. Al centro, sotto al titolo, un foro circolare lascia intravedere il disegno sottostante, imitando così un orologio da taschino aperto, mentre fra le decorazioni in un giallo fluorescente spicca un polpo.
Si presenta in questa veste grafica particolarmente singolare “L’orologiaio di Filigree Street” (Bompiani, 2017), l’originale romanzo d’esordio dell’inglese Natasha Pulley.

Siamo nella Londra vittoriana di fine 1800 – più precisamente, nel novembre del 1883. Una sequenza di veri e propri attentati bomba di matrice feniana – orchestrati cioè da organizzazioni rivoluzionarie irlandesi con l’obiettivo di istituire una Repubblica indipendente dall’Impero Britannico – in particolare il Clan na Gael – scuotono l’opinione pubblica e costringono governo, militari e polizia a creare gruppi investigativi segreti.
Nathaniel Steepleton, un giovane tranquillo e solitario, è telegrafista per il governo britannico a Whitehall, all’Home Office: il suo lavoro consiste per lo più nel trasmettere messaggi quasi del tutto privi di significato, come frammenti di conversazioni. Una sera, però, riceve da parte del commissario Williamson di Scotland Yard la minaccia di esplosioni in tutti i palazzi governativi programmate dai feniani per il 30 maggio 1884, esattamente di lì a sei mesi.
Col permesso, mai avuto prima, di lasciare l’ufficio in anticipo, Thaniel si dirige verso casa, una pensione poco più a nord del carcere di Millbank, vicina al Tamigi.
Dall’esterno ha un aspetto tetro ma dentro è molto meglio: le stanze sono semplici e ordinate, ognuna fornita di letto, stufa e lavandino con acqua corrente. In base alle regole della proprietaria, i pensionanti sono tutti scapoli e per la cifra di cinquanta sterline l’anno, hanno diritto a un letto e a un pasto caldo – trattamento molto simile, a pensarci bene, a quello dei detenuti di Millbank.
Mette i brividi farsi la strada a piedi di notte da Whitehall,

“talmente regolare era il cammino verso il degrado che gli sembrava quasi di viaggiare nel tempo, vedendo gli stessi edifici invecchiare di cinque anni a ogni passo, tutti immobili come in un museo”.

Quella stessa notte, rientrato a casa, il giovane si rende conto che qualcuno è entrato nella sua stanza: nessuno, però, ha toccato il baule con gli spartiti sotto il letto, né i risparmi custoditi sotto un listello staccato del pavimento. I piatti e le scodelle sono stati lavati e risistemati nella credenza, il bollitore sta fumando e i carboni della stufa sono accesi. Dopo aver interrogato il barbone del quartiere – il quale, però, dalla sua posizione a terra, ha visto solo un paio di stivaletti marroni di taglia piccola, con una scritta straniera –, Thaniel si rende conto della presenza di una scatolina di velluto sul letto, legata con un nastro bianco e con un’etichetta rotonda, incisa con un motivo a foglioline e con la scritta “Per Mr Steepleton”. Dentro c’è un orologio da tasca:

“Era fatto di un oro rosato che non aveva mai visto. La catenina scivolò dolcemente dietro la cassa, le maglie lisce e impeccabili, senza un capello di spazio o un grumo di saldatura a svelare dove erano state unite. (…) Thaniel premette, ma la calotta non si aprì. Si portò l’orologio all’orecchio: il meccanismo era muto, la corona di carica non voleva saperne di girare. Qualche ingranaggio doveva però essere vivo, perché nonostante il freddo umido la cassa era calda”.

Sei mesi dopo, il fatidico 30 maggio 1884, non solo la chiusura dell’orologio da tasca si sblocca, lasciando intravvedere la raffinata meccanica sottostante e un altro meccanismo molto più complesso, ma tutto funziona perfettamente e, nella calotta, una cartina decorativa porta il nome del suo creatore:

“K. Mori
27 Filigree Street
Knighsbridge”

Come era stato minacciato, una bomba ad orologeria viene rinvenuta e disinnescata alla base della Colonna di Nelson: verso sera, cessato l’allarme, impiegati e poliziotti si dirigono verso il Sol Levante, il pub vicino a Scotland Yard.
Thaniel è con loro quando il suo orologio comincia a ticchettare e ad urlare – un lamentoso ululato di sirena. Imbarazzato dagli sguardi sorpresi dei presenti, esce nel vicolo deserto sulla destra dell’edificio: trovarsi lì, lo ripara quasi completamente dall’esplosione che devasta Scotland Yard, salvandogli la vita e convincendolo della necessità di trovare prima possibile l’orologiaio.
Nel laboratorio di Filigree Street, pieno di luci e di sofisticati modelli meccanici che scintillano e ticchettano – come alcuni uccellini bronzati, lucciole elettriche e un polpo di nome Katsu –, un forestiero espatriato, un giapponese di bassa statura, con i capelli tinti biondi, gli occhi nerissimi e i vestiti inglesi, Keita Mori, nega di avere informazioni utili circa l’orologio e l’allarme scattato con infallibile tempismo.
Appare subito chiaro come l’uomo – un individuo solitario, ma gentile e disponibile verso Thaniel –, stia nascondendo qualcosa: le sue conoscenze in materia di ordigni esplosivi ad orologeria inducono gli investigatori a sospettare di lui. Approfittando del fatto che sopra il laboratorio è disponibile una stanza da prendere in affitto, Thaniel, ormai impegnato attivamente nelle indagini, si trasferisce da Mori, così da poter tenere d’occhio chi, col passare del tempo, diventerà un amico.
Stranamente, per una serie di curiose coincidenze, la sua vita comincia a migliorare: una promozione, un aumento, la proposta di riprendere a suonare il pianoforte, l’incontro con Grace Carrow, una giovane e brillante studentessa di fisica a Oxford. La donna è impegnata non solo a scoprire la verità “sull’etere luminifero” – la sostanza attraverso la quale si propaga la luce –, ma anche a trovare il modo di portare a termine i suoi esperimenti, visto che è alla fine del quarto e ultimo anno dell’università femminile e per ereditare la casa di una zia deve prima sposarsi.
Anche Grace, ragazza moderna, ribelle e refrattaria a qualsiasi tipo di condizionamento sociale, ha dei legami con il Giappone: un orologio di Keita Mori e un amico di nome Akira Matsumoto, cugino di secondo grado dell’Imperatore:

“Era l’elegante rampollo di un nobile giapponese, più che uno studente, un turista molto, molto ricco. Iscritto al New College, poteva girarsi l’università in lungo e in largo ma a quanto ne sapeva Grace non aveva prodotto un bel niente; tranne perfezionare il suo già impeccabile inglese e tradurre alcune poesie giapponesi”.

Le vicende dei protagonisti sono destinate ad intrecciarsi profondamente, con esiti sorprendenti sul loro destino e con un finale “pirotecnico”, in cui è coinvolto, suo malgrado, anche uno dei personaggi più originali: Katsu, il polpo meccanico che ama nascondersi nel comò di Thaniel e rubare i suoi calzini.

L’orologiaio di Filigree Street” è un romanzo saldamente ancorato alla storia.
In una Londra descritta in modo particolareggiato e realistico, con le stazioni ferroviarie e della metropolitana, le locomotive a vapore e le distese di binari; la minaccia, spesso realizzata, di attentati dinamitardi, mantiene un costante senso di tensione – non dimentichiamo, infatti, che è in corso un’indagine per rintracciare il complice dei feniani capace di costruire bombe ad orologeria.
Ben dettagliato è anche il villaggio giapponese ricostruito, all’epoca, a Knightsbridge, dove, varcato uno scheletrico cancello rosso, Thaniel e Mori “si ritrovano a Tokio”: lanterne di carta, tipiche botteghe di artigiani, tuniche tradizionali dai colori spenti, sale da tè, fabbriche di fuochi d’artificio...
Viene qui rappresentata la visione che l’Inghilterra vittoriana ha del Giappone – tra un misto di fascino e di timore per la presenza di stranieri – e, nello stesso tempo, il processo di occidentalizzazione del Giappone, un paese appena uscito dalla guerra civile, in bilico fra il rispetto della tradizione e l’infatuazione per l’Occidente, la sua economia, i sistemi di trasporto, il modo di vestire. Ciò avviene anche attraverso i flashback che riportano al passato di Mori, appartenente ad un’antica famiglia di cavalieri, al castello di Hagi, a sud di Tokio, nel 1871 e a Tokio nel 1882.
Il tema delle tensioni sociali e delle lotte per l’emancipazione femminile è invece affrontato grazie alla descrizione di una riunione dell’Associazione nazionale per il suffragio femminile, cui Grace partecipa, convinta da Matsumoto e non senza esprimere aspre, quanto divertenti, critiche:

“Io sono un esempio atipico. Sono istruita. Non passo il mio tempo a farfugliare di coltelli e forchette. Chiunque lo faccia non dovrebbe potersi nemmeno avvicinare alle urne, figuriamoci al parlamento. Cristo, se oggi fossero ammesse delle parlamentari, la politica estera verrebbe decisa in base alle condizioni delle basette del Kaiser. Prenderò a calci chiunque mi chieda di firmare una petizione, lo giuro”.

Ma “L’orologiaio di Filigree Street” è anche un romanzo dove il realismo diventa magico.
Senza troppe anticipazioni che priverebbero il lettore del piacere della scoperta, possiamo aggiungere che il fantastico si materializza nella figura di Keita Mori, un personaggio che si comprende col procedere della trama: mentre per Thaniel è un uomo geniale, solitario, colto, incapace di fare del male, che mette la sua conoscenza e la sua esperienza a disposizione degli altri, Grace lo ritiene uno scaltro manipolatore, capace di trasformare le persone in meccanismi: fermarlo è difficile, ma per lei non impossibile, visto che i suoi esperimenti sull’etere potrebbero spiegare le sue capacità.
Nonostante questo antagonismo fra personaggi, Natasha Pulley riesce a renderli tutti ugualmente amabili, oltre che complessi.
Il romanzo, oltre ad una storia di amicizia, diventa anche una sorta di meditazione leggera sul senso e sul valore della vita, delle nostre scelte, sulle loro conseguenze e i dubbi che queste comportano: quanto è realmente in nostro possesso? Quanto siamo condizionati, o spronati, dagli altri? Esiste un destino già scritto, oppure sta a noi scegliere fra una molteplicità di futuri possibili?

Non so se troverete le risposte ne “L’orologiaio di Filigree Street”, ma di certo non mancano umorismo, mistero, pericolo, azione, riflessioni e dialoghi irresistibili, per momenti di pura evasione: tutti elementi finemente lavorati dall’autrice come gli ingranaggi di un orologio perfettamente funzionante.