“Confessioni” di Dario Lessa

“Ho fatto, disfatto, rifarò e ricomincerò e ci sono morto nell’intensità vissuta in ogni tappa”.

Il protagonista Leonardo Levante, Leo, si confessa a noi con autorefenzialità e, denudandosi dei suoi indumenti, si sottopone al processo dei suoi pensieri, della sua vita, dei suoi successi e dei suoi fallimenti. Si difenderà da solo. Il denudarsi di Dario Lessa ci obbligherà a guardargli le viscere nel tentativo di cercare i suoi demoni mascherati ai quali ha affidato la sua anima. È la confessione di sé nell’età adulta quando avrebbe dovuto possedere la maturità degli anni, l’età docilmente anestetizzata da un quieto vivere, gli studi, il successo, il lavoro, il matrimonio, gli amici, ma che il brusco risveglio della sua coscienza lo conduce in vorticosi quesiti senza risposta .

“Come posso accettare l’essere che più disprezzo? Come posso accettare l’essere che più adoro?”

Ed ecco che inizia il racconto: la sua giornata canonica, il suo lavoro, il ricordo della madre perduta che invoca per nome, Luisa, per incontrarla nei suoi sogni e sentirne il profumo. Il suo profondo amore per la moglie Leonora, dolce amore, ora la sua ex. A lei si rivolgerà più volte con rimpianto, una donna di inestimabile valore. Dario Lessa scrive andando a ritroso nei ricordi: il padre, la casa di ringhiera, i primi lavori, il matrimonio, l’amico capo che è più amico e gli incontri occasionali. Ripercorre la sua vita senza lo schema del tempo perché proprio come nelle confessioni egli contravviene alla regola imposta dal tempo senza mai esserne completamente estraneo.

“Coloro che mi accompagnano nel vivere sono ancora quello che erano”.

Leo no, Leo rigurgita, ingoia, vomita e ci fa precipitare insieme nei suoi dilemmi che sono anche i nostri.
È sempre una notte buia e tempestosa, il foglio bianco immacolato diviene il suo specchio. Il suo romanzo scorre senza la frammentazione dei capitoli ad evidenziare l’atto processuale della sua confessione. Il condannato deve renderla e la rende senza interruzioni.

“Il quotidiano vivere, il lavoro, la carriera, una moglie con lati spigolosi ma dal valore inestimabile, una chioma ossigenata, un capo che è più amico, un tatuaggio galeotto e una fugace scopata”.

La lettura diviene una tale spirale che non hai più fiato, una bulimia di parole che rigurgitano sui fogli, le tante parole del suo mondo scritte senza l’uso della punteggiatura atte a creare “girandole di angosce”. Vi è l’antieroe di Calvino, il flusso di coscienza di Svevo e la scrittura notturna di Celine.
La confessione è un’ azione ed è attuata proprio con la parola. “Confessioni” (Edizioni Leucotea, 2012) di Dario Lessa è un romanzo autonarrante che non condurrà all’assoluzione del protagonista perché egli non implorerà pietà strisciando verso la giuria, perché sa di vivere un conflitto dal quale non può uscirne vittorioso. Il coraggio dei suoi sentimenti, del suo sentire, è puro ed è causa dei suoi sbagli. La forza di ciò che è stato e che è gli ricompare sotto forma di frammenti del passato che il tempo non riesce a spazzare via e, nella dimostrazione della loro forza si ripresentano senza il segno di una ruga.